Santa Faustina Kowalska: quel legame tra Divina Misericordia e Cavalleria di Cristo.
Strano a dirsi, e forse anche a pensarsi.
Ogni fedele cristiano conosce certamente la figura di Santa Faustina Kowalska, la celebre Santa vissuta nella prima metà del ‘900, conosciuta oltre che per i suoi innumerevoli carismi, anche e soprattutto per aver lasciato al mondo ed all’umanità, la Festa della Divina Misericordia e la Coroncina della Divina Misericordia, che insieme al Santo Rosario Mariano, rappresenta forse una delle preghiere devozionali più conosciute e potenti dell’intera epoca Cristiana.
Helena Kowalska, nacque a Glogowiec, in Polonia, nel 1905; nel 1925 divenne una religiosa della Congregazione delle Suore della Beata Vergine Maria della Misericordia, a Varsavia, acquisendo quindi il nome di Suor Faustina Kowalska.
La sua particolare vocazione e chiamata alla vita religiosa, si manifestò in realtà molto presto nel suo animo; già all’età di sette anni, infatti, era stata invasa dalla particolare Grazia della chiamata. Lei stessa, affermerà negli scritti dei suoi “Quaderni della Divina Misericordia”, che già fin da tenera età, ricevette il dono del sensus Christi, che può essere tradotto in quell’udito interiore e spirituale, con cui si avverta la voce della chiamata di Dio.
Ma per motivazioni familiari, che vedevano nella contrarietà dei genitori, il principale ostacolo alla vita religiosa, solo al suo diciottesimo anno di età, dopo aver avuto in visione lo stesso Gesù flagellato che la chiamava, esortandola a ”non ingannarLo più”, e cioè quindi a non sottrarsi oltre, alla missione a cui Cristo stesso avesse deciso di destinarla, Helena Kowalska, decise di intraprendere la strada che l’avrebbe condotta a morire nel mondo, e a rinascere in Cristo, PER il mondo, come Suor Faustina, abbracciando i voti religiosi della Congregazione delle Suore della Beta Vergine Maria della Misericordia.
Fin da quando ricevette la sua prima visione di Gesù, al suo diciottesimo anno di età, Suor Faustina fino all’ultimo giorno della sua vita, compiutosi il 5 Ottobre del 1938, fu ricolmata di innumerevoli Grazie, tra le quali visioni Cristiche e Mariane, locuzioni interiori, ubiquità, capacità di lettura delle anime, dialogo con i defunti; ma anche vessazioni e scontri con satana e gli altri demoni, che tentarono a volte di aggredirla, visioni dell’inferno e delle anime dannate.
Ma forse la conoscenza più profonda che si abbia di lei, nel mondo cristiano, è dovuta soprattutto al lascito che Cristo, per suo tramite abbia fatto, della famosa quanto potente Coroncina della Divina Misericordia, e alla sua unica opera, con cui la stessa conoscenza della Coroncina ci sia pervenuta: Il Diario della Divina Misericordia, all’interno del quale Suor Faustina, su diretto ordine di Gesù, scrisse tutti quei messaggi, conversazioni ed ispirazioni interiori che il dialogo con Cristo le suscitasse e suggerisse, per insegnare e tramandare al mondo, il culto della Divina Misericordia, per condurre le anime al pentimento ed alla conversione dai propri peccati, attraverso l’Attributo primario di Cristo, che è quello del perdono .
Ovviamente non è possibile, all’interno di questo breve ma (si spera) esaustivo articolo, eseguire un’esegesi di tutta l’opera della Santa polacca; ma come il titolo stesso ha preannunciato, cercheremo di soffermarci qui, su di alcuni particolari tanto ”inediti” quanto carichi di enorme significato: parleremo quindi dei valori di Cavalleria, virtù e combattimento, che Suor Faustina lasciò in eredità ad ogni Cristiano, per il tramite del volere del Signore Gesù Cristo.
Nel momento in cui ci si trovi ad illustrare la storia mistica e religiosa della Santa polacca, e della Divina Misericordia affidata al suo messaggio, si fa solitamente fatica a coniugare il concetto di un Attributo Divino, come quello del Perdono, certamente simbolo di dolcezza e pace, con il concetto non solo più ”vetusto” come quello della Cavalleria, ma addirittura anche con sentimenti di tumulto interiore, che l’utilizzo di alcune parole come Spada, Cavaliere, Soldato, nemico, battaglia, guerra, abbia potuto far percepire al lettore; l’uso di un tale lessico, infatti, avrebbe dovuto far pensare alla giovane religiosa polacca, come ad una donna vissuta nel pieno del periodo medievale, quando i sentimenti di Cavalleria, combattimento e guerra Santa, fossero più vicini alla cultura del tempo, e non certamente ad una giovane religiosa vissuta pochi decenni fa, nel ventesimo secolo.
Ma procediamo con l’analisi filologica e lessicale del Diario.
La prima parola che prenderemo qui in analisi, è una di quelle che Santa Faustina forse utilizza maggiormente nei suoi Quaderni, ovvero ”lotta”.
L’uso così frequente di questo termine, fa certamente intendere la travagliata situazione religiosa ed esistenziale della mistica polacca, ma ugualmente e di pari grado, si palesa anche una sua forte vocazione ed inclinazione al combattimento.
I primi contesti narrativi del manoscritto, all’interno dei quali lei si avvicinò all’uso di tale parola (lotta), furono quelli che la videro descrivere la sua esperienza iniziale come educanda; durante quel periodo, infatti, le sue locuzioni e visioni del Cristo, vennero tacciate di pazzia o di illusioni mentali o demoniache.
E ancora, l’uso della stessa parola venne preso in prestito per descrivere le situazioni di conflitto interiore che l’anima possiede quando, dopo aver visto la Luce di Dio, si riconosca e si umili come peccatrice, evidenziando e conoscendo ogni sua piccola mancanza e peccato, con l’esistenza dei quali, l’anima stessa, sarà portata a lottare per far prevalere la luce e la conoscenza del perdono e dell’amore, avverso la tenebra del peccato e dell’orgoglio.
Ulteriormente, Suor Faustina usò scegliere nuovamente la parola ”lotta” quando, riferendosi ai suoi combattimenti ed incontri con satana e gli altri demoni, e volendone dare valenza didascalica, ebbe a dimostrare quale approccio spirituale e mentale dedito al combattimento, un’anima debba tenere, sia nelle tentazioni e sia anche e purtroppo, negli incontri e vessazioni ravvicinate con il demonio.
Ma forse, l’uso più significativo e teologicamente profondo, che la Santa abbia fatto di tale parola, si può osservare certamente nei riferimenti alle lotte interiori che l’anima ha con sé stessa.
Quando, nei momenti di prova, durante i quali Dio le farà credere di essersi da lei allontanato, allora l’anima si troverà a combattere da sola in una guerra spirituale ed interiore, durante la quale dovrà prima trovarvisi innanzi, combattere e quindi sconfiggere, tutti quelli che saranno i suoi dubbi e timori sulla presenza di Dio nella sua vita.
PRIMO QUESITO
Volendo allora estrapolare il senso teologico, spirituale e quindi didascalico della parola in esame (lotta), non si può non desumere un primo aspetto che apparentemente e a molti, potrà suscitare perplessità o interrogativi.
‘‘Come può coniugarsi il significato teologico della Misericordia– si chiederanno alcuni– che comporta pazienza, perdono e pacatezza, con quello apparentemente contrastante della lotta?”
PRIMA RISPOSTA
A dispetto dell’interrogativo di cui sopra, la risposta reale è piuttosto che non vi è necessità di alcun interrogativo.
La fallace contrapposizione tra i significati di Misericordia e lotta, ha senso di esistere solo all’interno di una logica prettamente umana e razionalista, che si fondi sulla semplice analisi lessicale ed etimologica delle parole e del loro significato comune.
Nel contesto spirituale e teologico, al contrario, l’uno risulta essere la base fondante su cui costruire l’altro; la consapevolezza, conoscenza e poi incarnazione della Misericordia Divina, da costruire sopra le basi di una certa familiarità alla lotta, risulta un divenire via via sempre più inscindibile.
La lotta, allora, diviene ad essere non solo una semplice predisposizione d’animo, nell’aspettativa delle future difficoltà e prove, a cui ogni Cristiano venga ad essere sottoposto nella sua vita, bensì va a sublimarsi poi in un vero e proprio atteggiamento di vita, del proprio corpo, della propria mente e della propria anima, indispensabile per ogni fedele, per comprendere, ottenere, difendere e divulgare quella incommensurabile Grazia che è appunto la Misericordia di Dio.
Non si può comprendere il concetto di Misericordia, se non prima si sia stati abituati a familiarizzare con il concetto di lotta, avverso il peccato e la menzogna del destino mortale e dannato, a cui ogni essere umano ne sarebbe destinato, senza.
Non si può ottenere la Misericordia, se non prima si familiarizzi con il concetto di lotta contro il proprio orgoglio, che è il primo elemento di richiamo del peccato e del rifiuto del perdono di Dio.
Consequenzialmente, non si può difendere la Misericordia nel proprio essere, se non prima si sia stati abituati a familiarizzare con il concetto di lotta contro sé stessi e la propria natura umana decaduta, che risulta essere la prima fonte di timore, dubbio, insicurezza, abbandono e lascivie alle tentazioni; questi che risultano poi essere, a loro volta, i più grandi ostacoli alla comprensione interiore e spirituale di sé stessa da parte della persona, in qualità di naturale punto di ormeggio dell’azione misericordiosa di Dio.
Non si può nemmeno difendere la Misericordia, se quell’anima non sia affatto familiare alla lotta contro il male stesso, e tutte le sue origini, perfino diaboliche; non si può certamente essere strumenti di Misericordia, se non si sia affatto in grado di ammettere e poi riconoscere, l’esistenza del maligno e degli altri demoni, come origine principale del male.
Infine non si può divulgare la Misericordia al prossimo, se non si voglia sentirsi abituati a praticare la lotta contro le stesse fenomenologie esistenziali e spirituali vissute e riconosciute su di sé, negli altri, e di conseguenza, quindi, se non si abbia la forza di lottare contro l’estremismo del buonismo, che porta al rifiuto di ogni uomo, in una visione ugualmente fallace e caduca dello stesso, ma volendolo invece ritenere ipso facto come un centro di bontà e perfezione ad libitum; si può aiutare il prossimo a ricevere il perdono di Dio, solo aiutando il prossimo stesso a riconoscere quei peccati ed errori, verso i quali chiedere il perdono stesso.
Certamente, quindi, la lotta intesa non solo come stato d’animo interiore, ma anche e maggiormente come atteggiamento esteriore, risulta essere una qualità basilare necessaria, su cui poter edificare la splendente costruzione della Misericordia Divina.
Proseguendo in quest’analisi introspettiva, basata su criteri interpretativi della Cavalleria di Cristo, del Diario della Mistica, la seconda parola che prenderemo in esame, e che a sua volta trasporta con sé tutto uno strascico di terminologia ulteriore, è quella di “Cavaliere”.
Come già accennato sopra, l’uso di una tale terminologia lascia un po’ basito il lettore, e non solo per un’apparente incongruenza storica e di contesto, tra la terminologia usata e l’epoca in cui si troverebbe a vivere Suor Faustina, ma anche per riguardo ad un’ugualmente ed apparente incongruenza ”teologica”, che vedrebbe la scelta di un determinato lessico, per trattare di un argomento che (almeno in apparenza) potrebbe sembrarne lontano.
E così, Santa Faustina decide immediatamente di catturare l’attenzione non solo mentale, ma anche spirituale, del lettore, con una frase assolutamente ad effetto e carica di grande significato e potere simbolico:
”Dopo che l’anima
è stata purificata ed il Signore ha rapporti di intimità con lei, ora con
tutte le forze tende verso Dio. Però essa da sola non può niente. Qui
soltanto Iddio dispone tutto; l’anima lo sa; ne è consapevole. Essa vive
ancora in esilio e sa molto bene che possono esserci ancora giornate
nuvolose e piovose; ma essa guarda a tutto ciò con un atteggiamento
diverso da quello tenuto finora. Non si rifugia in una pace falsa, ma si
slancia nella lotta. Essa sa di essere di una progenie cavalleresca. Ora si
rende conto meglio di tutto. Essa sa di essere di stirpe regale: tutto ciò
che è grande e santo la riguarda.”
Ecco, certamente le righe finali di questo estratto dal Diario della Misericordia, non potranno certo essere passate inosservate nemmeno al lettore più disattento. Nell’estratto appena citato, si può osservare Suor Faustina discutere sulla dimensione esistenziale dell’anima purificata da Dio; l’anima, pur essendo stata immersa nella Luce Divina, e spogliata delle proprie impurità, sa che fin quando sarà legata al corpo materiale, non cesserà ugualmente di conoscere le difficoltà, le prove, le tentazioni e le sofferenze.
Ciò ovviamente è il consequenziale e naturale prodotto della contrapposizione tra l’elemento umano e quello spirituale.
Ma la ”scena madre”, deve ancora venire; come atto di risposta a tali premesse, però, la Mistica polacca rassicura sé stessa ed il lettore: ogni anima, e quindi ogni essere umano, è di una progenie cavalleresca…. e di una stirpe regale.
Indubbiamente risultano essere veramente cariche di forte significato tali parole. Come già accennato, sono termini che, ad un osservatore superficiale o poco avvezzo a tali annotazioni, potrebbero suscitare perplessità alla lettura.
Ma come abbiamo avuto modo di notare qualche paragrafo prima, tutta la visione salvifica della Misericordia Divina nell’anima ruota intorno al concetto di lotta; non esiste premio senza battaglia, non esiste tesoro senza la fatica nel raggiungerlo.
Ma il quesito sul perché di una tale scelta lessicale, certamente potrebbe ancora permanere in capo al lettore, tenendo per altro da conto come in molte altre occasioni della sua opera, Suor Faustina sia spesso ricorsa a tale terminologia bellica e cavalleresca, in qualità di frequenti presenze narrative, nelle pagine del Diario.
SECONDO QUESITO
Posta la premessa delle osservazioni e valutazioni apposte al primo quesito,
quale collegamento contestuale, teologico, spirituale o filologico, possiede una tale terminologia cavalleresca e di nobiltà dignitaria, con l’ottenimento, la difesa e la diffusione della Misericordia Divina?
SECONDA RISPOSTA
Possiamo affermare che la risposta a tale quesito, come anche ai quesiti che seguiranno, altri non è se non una particolareggiata e specifica estrapolazione della risposta apposta al primo quesito, che ne sia risultata, per così dire, il contenitore unico di ogni premessa seguente e successiva; tutto parte dal concetto di lotta ma, essendo questa, una lotta spirituale, contro nemici spirituali, da parte di protagonisti spirituali e traguardi altrettanto spirituali (se non addirittura Divini), è indubbio che la figura che il protagonista, cioè l’uomo e quindi la sua anima, debba incarnare, non possa che essere quella del Cavaliere.
Ma il Cavaliere chi è? Notoriamente questa figura storica ma altrettanto mitologica, per i suoi connotati fortemente eroici e romantici, viene identificata nella sua necessaria nobiltà di sangue e di spirito; caratteristiche essenziali per formare quell’individuo totalmente dedito alla ricerca ed alla difesa del bene e della verità, contro ogni nemico, sopruso o malvagità.
Ebbene, questa figura viene perfettamente illustrata nella trasposizione spirituale narrativa dell’estratto citato, nella quale l’anima al servizio di Dio è non solo di nobile lignaggio (Stirpe Regale), per la sua figliolanza con il Re, che in questo caso è Dio stesso, ma anche di nobiltà d’animo (Progenie Cavalleresca). La nobiltà spirituale ed esistenziale dell’anima di ogni essere umano, deriva proprio da questi due fattori: essere figli innanzitutto e soprattutto di Dio, e poi contemporaneamente essere figli di tutti coloro che, prima di noi, si adoperarono con lo stesso spirito di cavalleria in Cristo, per la sua evangelizzazione e difesa tra le genti. La nostra è sostanzialmente una doppia natura cavalleresca, essendo noi legati a Colui che ci abbia creati ed, insieme, a coloro che siano risorti da morte, difendendo il Creatore stesso.
Contrariamente a quanto si possa immaginare nella vita terrena e quotidiana, però, la Cavalleria spirituale non si deve assurgere a scopo della propria esistenza, come insegna l’odierna corsa all’appartenenza ai più vari Ordini o associazioni para-cavalleresche, bensì la Cavalleria dello spirito dovrà essere quell’identità onnipresente fin da principio, in ogni uomo o donna, che permetterà attraverso la vittoria delle battaglie avverso il nemico, la conquista della Patria Celeste ad ogni Cavaliere di Spirito.
In sostanza quindi, incarnare lo Spirito di Cavalleria, significa, in virtù della propria appartenenza ad una Stirpe Regale, che è quella Divina, di vivere la propria vita ed esistenza così come farebbe un Cavaliere al servizio del proprio Re; e così ogni Cavaliere di Dio dovrà quotidianamente difendere e glorificare quel Re a cui appartenga, contro ogni assalto del nemico e della sua menzogna. Un Cavaliere, è tale, quando sia disposto a donare la sua stessa vita per la fedeltà e la lealtà al suo Sovrano. Ed ugualmente essere Cavalieri di progenie Cavalleresca, denota e necessita da parte dell’anima stessa, il riconoscersi allo stesso modo figlia di quei Cavalieri che, prima di lei, servirono, onorarono e difesero Dio con la loro vita stessa. Ciò comporta una fissazione delle loro gesta e parole, come bastoni a cui aggrapparsi, sul cammino che anche la stessa anima del Cavaliere dovrà seguire. Onorare e difendere la memoria dei nostri antenati spirituali, per onorare e difendere contemporaneamente anche Dio.
La stessa Santa, in un particolare passo del suo scritto, si definisce essa stessa un Cavaliere quando, accompagnando il Sacerdote nella somministrazione dell’Eucaristia agli ammalati, si cinse di una cintura di ferro, come segno di umiltà e sacrificio in onore di quel Re, che tra le mani consacrate di quel Ministro, fosse stato presente.
Sostanzialmente, solo chi riconosca la sua figliolanza in Dio, e la sua discendenza spirituale nella schiera delle anime vissute, sacrificate e che ebbero lottato nel Nome di Dio, può comprendere, accogliere, difendere e diffondere la Misericordia Divina stessa. La nascita spirituale cavalleresca di un’anima, è la sola strada attraverso cui l’anima possa pretendere di essere accolta ed evangelizzatrice della Misericordia, che conduca poi alle porte della Gerusalemme Celeste.
Non si può essere idonei a ricevere il perdono e la Salvezza Divini, senza una naturale e familiare inclinazione ai valori cavallereschi dell’anima, che comprendono la vocazione alla lotta esaminata sopra, e poi anche alla dedizione estrema e continua alla verità ed alla sua difesa contro ogni attacco ed ogni nemico.
Addentrandoci ancora ed ulteriormente, alla scoperta di questa Cavalleria Spirituale della Misericordia, interessante punto di vista costituisce anche l’uso della terminologia bellica, con cui Suor Faustina fece spesso riferimento alle armi ed al campo di battaglia, nel suo scritto.
Anche in questo terzo caso, così come nei primi due, l’uso di un tale lessico potrà ugualmente apparire fuori posto con il contesto della Misericordia. Suor Faustina fece infatti spesso riferimento alla spada, al campo di battaglia; tra l’altro, la spada non è sempre da considerarsi un’arma riferita esclusivamente alla sua persona, tale per cui si possa pensare di dare un’interpretazione afferente al simbolismo di tale arma, ad una sfera esclusivamente soggettiva della Mistica polacca; bensì nelle sua numerose visioni mistiche, la Santa vide la spada detenuta anche dal Cristo, da un Angelo, e perfino anche da Santa Barbara. Va inoltre anche riportato un ulteriore estratto dai Quaderni del Diario, che a tal proposito vede la Suora affermare:
”Ti ringrazio, o mio amatissimo Sposo (Gesù, ndr), per la dignità
che mi hai conferito e specialmente per le insegne regali, che da oggi mi
adornano e che nemmeno gli Angeli hanno, e cioè la Croce, la spada e la
corona di spine.”
TERZO QUESITO
Ma allora, posto che l’uso di un lessico tanto particolare, non sia affatto limitato alla sfera soggettiva della Suora, ma che ne sia addirittura pertinente alle realtà mistiche e spirituali di altri ”personaggi” del suo manoscritto, ed alla luce dell’ultimo estratto citato, un terzo quesito potrà certamente essere questo:
quale sarebbe il nesso di riferimento tra la Misericordia Divina, e un lessico militare o comunque para-bellico, nell’azione narrativa degli strumenti spirituali atti ad ottenere e difendere la Grazia misericordiosa di Dio?
TERZA RISPOSTA
In virtù e coerentemente con quanto finora dichiarato, dopo aver preso in esame la coerenza del concetto di lotta, e poi anche quello di Cavalleria spirituale, nella dimensione dell’economia salvifica della Misericordia, non può, quindi, per lo stesso motivo, rifiutarsi o fare a meno di osservare come la figurazione materiale e mentale dello strumento spirituale della lotta, non possa essere altro che la Spada, atta a costituire quel doppio simbolismo di regalità e di militanza, insieme; posto ovviamente che la spada a cui la Santa si riferisse, fosse certamente intesa nella sua accezione di simbolismo spirituale, è ugualmente qui interessante tentare di dare una spiegazione alle ragioni che abbiano condotto alla manifestazione di tali concetti puramente spirituali, attraverso il tramite del concetto materiale della figura della spada.
Ed a tale interrogativo non può non rispondersi, senza prendere in esame la sua doppia implicazione materiale e spirituale.
Prendendo in esame quanto riportato dalla visione sopra citata della Santa, osserviamo come nella sua investitura da parte di Cristo Gesù delle triplici insegne della Croce, della Corona di Spine e della Spada, possiamo notare certamente che solo le prime due, siano simbolo di umiliazione, sacrificio e sofferenza personale. Infatti solo nella sottomissione all’umiliazione ed al sacrificio, come Cristo fece accettando la Corona di Spine e la Crocifissione, si potrà divenire, ugualmente a Lui, Cavalieri pronti alla lotta, e quindi ad impugnare la Spada. E del resto, l’immedesimazione alle sofferenze di Cristo, è un elemento che per l’appunto appartiene solo all’uomo, e non alla stirpe degli Angeli.
Il possesso di tali insegne regali, fa di un’anima umana, la creatura più simile e vicina a Cristo stesso, il ché a sua volta ne fa di lei una realtà spirituale superiore agli angeli stessi; solo l’umiltà, l’umiliazione ed il sacrificio nella sofferenza, appaiono essere gli strumenti più potenti con cui conoscere, ottenere, difendere e diffondere la stessa Misericordia.
Quanto invece al perché, di una proiezione materiale incarnata nella figura della spada, di valori così elevatamente spirituali, la risposta è ugualmente presto data: non solo la spada è simbolo di regalità, possenza, e valore nella lotta, ma addirittura la spada è una delle pochissime (se non unica) armi che, nella battaglia, risulti essere la più indicata a determinare meritocraticamente il valore alla lotta, di colui che la detenga. La spada, nella fenomenologia bellica, si può certamente inquadrare come il prolungamento del braccio del Cavaliere; sarà perciò una spada efficace alla lotta, se tale ne sarà il suo possessore; sarà invece una spada inabile alla lotta, se inabile alla lotta sarà colui che la impugni nella propria mano.
Inoltre, per concludere, non va nemmeno dimenticato come la sublimazione di tali qualità personali, vadano ad inquadrare consequenzialmente le stesse preghiere, in una spada, fino ad immedesimare la spada, nella stessa anima di ogni fedele.
Quanto poi all’ultimo aspetto, e cioè a quello riguardo al soggetto opposto alla battaglia, e cioè al nemico, va accolto con la stessa condivisione con cui si siano poste ed accettate per vere le tre premesse precedenti della lotta, della Cavalleria e della Spada.
Non può sussistere una lotta, se non vi sia un nemico contro cui destinare l’azione di contrasto. A nulla servirebbe, immergere sé stessi nel vano tentativo di ricondurre tutto ad un nichilista buonismo, atto ad elidere l’esistenza del nemico contro cui combattere, fino ad elidere l’idea di male stesso, disconoscendo quindi l’idea stessa di peccato.
Il nemico esiste, e non solo nel demonio che innumerevoli volte apparve a Santa Faustina, ma il nemico esiste ugualmente in tutte quelle azioni lontane da Dio che commettono gli uomini; non sono quest’ultimi ad essere il nemico, ma il peccato che contengono dentro ognuno di loro, a renderli proiettori della tenebra delle proprie colpe. Non si combatte mai contro gli uomini, certo, ma non si può, in virtù di un buonismo esasperato, accogliere l’uomo ed insieme a questi, accogliere anche il suo peccato. Se la vittoria finale di questa battaglia, è rappresentata per ognuno di noi nella Salvezza, appare filosoficamente, teologicamente e logicamente in aperto contrasto con l’economia della Risurrezione, accogliere l’uomo con il suo peccato; egli infatti non sarà salvo, ma nemmeno colui che lo accoglierà nella giustificazione della sua macchia.
CONCLUSIONI
Appare quindi chiaro e manifesto, al termine di questo esaustivo esame degli scritti ”faustiniani” della Misericordia Divina, che la dimensione non solo Cavalleresca, ma perfino bellica, con cui si voglia leggere ed interpretare il ”Catechismo Misericordioso” di Santa Faustina, siano certamente una strada non solo spirituale, ma anche mentale, filosofica, teologica ed corporea, per giungere a conoscere la Misericordia per mezzo dell’abnegazione Cavalleresca alla lotta per la Verità di Cristo, acquisita come unica ed insostituibile; per giungere a possedere e difendere la Misericordia di Dio nella strenua lotta contro il nemico, riconoscendo ed ammettendo l’esistenza del peccato, e rifiutando di accoglierlo, rifiutando per prima sé stessi come nati nel peccato, accettando poi la nuova e permanente rinascita nella Luce; per giungere a diffondere la Misericordia di Dio, riconoscendo il nemico, combattendolo e, sconfiggendolo, far conoscere, possedere, difendere e diffondere la stessa Misericordia, al prossimo che abbiamo innanzi.
Riconosciti figlio di Dio
Riconosci la tua macchia
Riconosciti Cavaliere
Riconosciti nella Spada
Riconosciti nella Lotta
Riconosci il nemico
Riconosciti nella Vittoria
Riconosciti nella tua Patria Celeste.
Emmanuel Giuseppe Colucci Bartone