Referendum abrogativo: la Legge, schiava della cattiva politica.
Bisogna ammetterlo: l’epoca storica attuale, ci vede osservatori e protagonisti di un’opera teatrale talmente ampia, che spazia dalla commedia alla tragedia greca; dall’inizio della pandemia covid, ben due anni e mezzo fa, passando per l’attuale conflitto Russo-Ucraino, siamo stati abituati ad osservare avvenimenti sociali e politici di ampiezza talmente larga e mondiale, che le vicende di casa Italia, ci sembrano oramai quasi notizie insignificanti.
Da settimane si discute dei Referendum abrogativi che avranno luogo giorno 12 Giugno 2022, ma come quasi sempre accade in questi casi, la questione sembra interessare molto più la vita dei castelli parlamentari romani, che non invece quella dei cittadini/sudditi.
Personalmente non sono mai stato un grande ammiratore dei referendum che la recente storia repubblicana abbia indetto, ma quelli che verranno portati alle urne fra pochi giorni, hanno suscitato in me la curiosità del giurista (i referendum in oggetto, avranno come materia abrogativa, quella strettamente giuridica), ed ecco che sono andato a spulciare i testi in esame.
Un primo elemento molto interessante, è che andando sul sito internet istituzionale del Ministero dell’Interno vengono sommariamente elencate le cinque domande che verranno proposte agli aventi diritto al voto (51 milioni secondo le stime), recanti una descrizione alquanto vaga, incompleta ed ambigua.
Tralasciando la terza, quarta e quinta domanda, che hanno un oggetto più strettamente giuridico, legato alle normative procedurali e di composizione interna dei diversi Organi giuridici, per le quali se dovessimo trattarne in questa sede il loro oggetto, sarebbe necessario un articolo a parte, vorrei invece attirare la vostra attenzione sulle prime due.
Ritengo che la corretta conoscenza di queste due domande, sia assolutamente fondamentale, come segnale d’allarme al popolo italiano riguardo la propria classe politica, che di tali scempi legislativi si fa promotrice.
Referendum n. 1: abrogazione del Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi.
Leggendo la presentazione della prima proposta referendaria, salta subito all’attenzione del lettore, l’oggetto in esame, ovvero abrogare la norma che impedisce, a chi sia stato condannato con sentenza definitiva, di poter presentare la propria candidatura, per cariche politiche governative o di altro tipo di rappresentanza (europea o relativa alle Regioni ed altri Enti Locali).
Sebbene già di per sé, questa proposta potrebbe già risultare alquanto sospetta, basta andare a leggere il primo periodo del testo presente sulla prima scheda elettorale referendaria, per avere ulteriori motivi per sospettare; così recita: ‘‘Volete voi che sia abrogato il decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235”.
L’art. 1 primo comma lettera a), del citato decreto legislativo, recita infatti tali parole:
1. Non possono essere candidati e non possono comunque ricoprire la carica di deputato e di senatore: a) coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per i delitti, consumati o tentati, previsti dall'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale;
Se andiamo quindi a scorrere il dettato dei due commi citati dell’art. 51 c.p.p. leggiamo che la norma che si vorrebbe abrogare (quindi cancellare), è quella che fino ad oggi impedirebbe la candidatura a ruoli governativi, amministrativi o di rappresentanza, a soggetti che tra i vari reati, si possano essere macchiati anche di quelli di associazione mafiosa (comma 3-bis) e di terrorismo (comma 3-quater).
Referendum n. 2: limitazione delle misure cautelari: abrogazione dell’ultimo inciso dell’art. 274, comma 1, lettera c), codice di procedura penale, in materia di misure cautelari e, segnatamente, di esigenze cautelari, nel processo penale
Se quanto si è visto nell’analisi del primo quesito referendario, vi abbia lasciato meravigliati, certamente non sarà da meno quello che leggeremo adesso riguardo al secondo quesito.
Andando infatti ad aprire il pdf presente sempre sulla pagina del sito del Ministero dell’Interno, relativo alla domanda numero 2:
“o della stessa specie di quello per cui si procede. Se il pericolo riguarda
la commissione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede, le misure di custodia cautelare sono disposte soltanto
se trattasi di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni ovvero, in caso
di custodia cautelare in carcere, di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni
nonché per il delitto di finanziamento illecito dei partiti di cui all’art. 7 della legge 2 maggio 1974, n. 195 e successive
modificazioni.”?
In questo quesito, come si può osservare dalla frase normativa qui citata interamente dalla scheda elettorale n.2 sottoposta a referendum abrogativo, si vorrebbero annullare le misure cautelari preventive per quei soggetti che sotto processo (quindi non ancora giudicati) potrebbero essere condannati, tra i vari reati previsti nel quesito referendario, anche per quello di finanziamento illecito ai partiti.
Sebbene da giorni stiano tentando di presentare questo referendum come il tentativo di evitare le misure detentive preventive agli imputati per reati, a loro dire, minori, appare invece chiaro che la principale (se non esclusiva) ragione giuridica che risieda dietro questo secondo proposito referendario, sia piuttosto quella di proteggere coloro che potrebbero essere stati o potrebbero divenire, oggetto di indagini e processi relativi ai finanziamenti illeciti ai partiti politici.
Insomma, la sfacciataggine e l’oramai quasi nulla dignità della classe politica italiana, ha condotto alla formulazione di ben cinque referendum abrogativi, due dei quali possiedono in oggetto, da un lato evidentemente lo scopo di concedere la possibilità di entrare in politica a soggetti, tra i tanti, macchiatisi di reati quali quello di associazione mafiosa e addirittura terrorismo, e dall’altro quello di agevolare o tutelare coloro che, potrebbero essere sottoposti a processo, per reati quali quello di finanziamento illecito ai partiti. Insomma, un referendum che viene presentato come d’interesse per il popolo, appare invece essere molto più volgarmente il tentativo di adattare il codice penale, alla bassa, se non nulla, trasparenza della politica nazionale.
Per il bene della decenza sociale, ritengo sia opportuno consigliare di votare NO, quantomeno alle domande relative ai primi due quesiti referendari.
Ancora una volta, quindi, il denaro dei contribuenti viene utilizzato per gli interessi personali di una classe politica, che di classe dimostra di averne ben poca, e di politica ancor meno.
Emmanuel Colucci Bartone